di Ludovico De Bonis
Secondo un’antica leggenda mesagnese, già negli Sessanta, si riteneva che il fantasma della signura Leta dimorasse all’interno della “Masseria Mucchio” ma anche in altre vecchie case di campagna. Il fantasma di questa donna, infatti, secondo le dicerie di di paese, era stato avvistato o risiedeva in molti posti, funzionando sia da “spaventapersone” in campagna per visitatori occasionali e curiosi, sia per incutere paura a bambini un po’ troppo vispi.
Prima di addentrarci nel racconto della nota leggenda mesagnese conosciuta come la signura Leta, proviamo a capire da cosa trae origine il nome e, di conseguenza, quali sono stati i motivi per i quali è stata chiamata proprio così. Il termine Leta non appartiene al dialetto tipicamente mesagnese ma a quello salentino. Volendo essere precisi, Ledu che vuol dire laido, sporco, brutto, deriva a sua volta dall’antico termine francese laid, che vuol dire sudicio e usato, ma in maniera più estesa sta per indicare qualcosa che suscitava ribrezzo.
La protagonista di questa antica, triste e, per certi versi, spaventosa storia è una giovane donna di Mesagne innamorata di un bel ragazzo del posto, che ricambiava. Il loro amore, però, era contrastato dai fratelli della donna che ostinatamente si opponevano al matrimonio dei due giovani innamorati. I due giovani pensarono, così, di attuare una fuga d’amore e di rifugiarsi in una casa di campagna, ponendo, di conseguenza, gli ostili fratelli di fronte al fatto compiuto. Fino ad ora, non sono mai stati citati i genitori della donna, per questo, molti hanno desunto e dedotto che la protagonista della nostra vicenda fosse sotto la tutela dei fratelli maggiori. Questi ultimi, ormai insofferenti e offesi dalle malelingue dei mesagnesi, volevano scovare i due fuggiaschi per vendicarsi e per infliggere loro una tremenda punizione in modo da risollevare il nome della famiglia. I due giovani, forse avvertiti o accortisi dell’arrivo dei fratelli di lei ed intuite le reali intenzioni, tentarono di nascondersi.
Qui la leggenda popolare mesagnese tralascia di raccontare del giovane. In alcune varianti di paesi limitrofi il giovane amante fu subito ucciso dai malvagi fratelli di lei, mentre con coraggio tentava di difendere la sua donna; in altre, invece, il giovane fa la stessa fine dell’amante.
La povera donna, comunque, spaventata e sorpresa di tanta malvagità cercò di trovare rifugio nel forno adiacente all’abitazione, per evitare che i fratelli la uccidessero. Nella fretta però la giovane donna perse una scarpa che non riuscì a raccogliere per l’arrivo infausto dei fratelli. La vicinanza della calzatura al forno fece capire ai fratelli dove si era nascosta la donna. Pensarono allora di appiccare il fuoco alle fascine di legna dietro le quali la donna aveva trovato rifugio.
Un dubbio che aleggia su questa vicenda è il seguente: i fratelli volevano indurre la sfortunata sorella ad uscire o avevano realmente intenzione di punirla in modo atroce?
L’epilogo tremendo non lasciò adito a dubbi purtroppo. La giovane morì arsa viva, gridando tutta la sua disperazione e maledicendo i suoi abominevoli fratelli.
Da quel momento, il fantasma di questa donna, “appariva” vestito di bianco (in alcuni varianti con l’abito da sposa) e con una sola scarpa, specialmente durante alcune “particolari notti” e in fabbricati abbandonati di campagna.
Secondo quanto raccontato dai malcapitati spettatori, il fantasma era solito mostrarsi affacciato ad una finestra mentre il suo bianco spettrale illuminava la notte. La signura Leta si manifestava sempre per terrorizzare e da ciò, forse, l’appellativo chiarito precedentemente.
Alcuni scrittori locali hanno in vario modo congetturato su questa leggenda con esiti incerti, come nel caso dello Scoditti che in un suo dattiloscritto, fatto circolare anonimo, parla della triste vicenda della Signura Leta, dal momento che la leggenda popolare mesagnese indicava la “Masseria Mucchio” come dimora abituale del fantasma, collocandola dopo gli anni 1830-35 e prima delle nascite del padre e delle sorelle, avvenute tra il 1849 e il 1858.
Lo scrittore locale ipotizza, che
“Tale credenza derivi dagli Dei Lari dell’antica religione pagana, i quali abitavano le case, le campagne, i crocicchi delle strade”. Accosta, altresì, il nome Leta, traendone l’etimo dal vocabolario dei dialetti salentini (Monaco 1956), alla bruttezza e alla paura e quindi la Signura Leta “non può non essere una signora brutta, cioè cattiva”.
Lo Scoditti non esclude nemmeno l’ipotesi che tale leggenda possa essere stata creata appositamente da qualcuno:
Una volta tanti anni fa, ho sentito raccontare che un tale di condizioni elevati (!) teneva al Mucchio una sua amante; e che per tenere lontana da essa quanta gente più possibile (!) o perché geloso o per evitare che la donna fosse identificata, avrebbe creata (!) e messo in giro la leggenda.
In realtà questa leggenda ha una origine “colta” e Mesagne, il paese situato in provincia di Brindisi c’entra poco o nulla, come spesso accade a molte tradizioni popolari. E’ più plausibile, probabilmente, far risalire la leggenda a racconti o novelle medievali. Ad esempio alcuni punti di contatto si possono notare con alcune novelle del Decamerone del Boccaccio. È acclamato che alcune novelle del Boccaccio rimarcano l’esemplarità di certe figure, anche femminili, e che nell’opera è presente anche una dimensione occulta e funebre, allucinata e quasi diabolica, inoltre le novelle fanno riferimento a personaggi e situazioni notissimi ai lettori del tempo (Ferroni).
Nella novella citata, il Boccaccio, racconta di Isabetta e del suo grande amore per un giovane, anche costui morto ammazzato dai fratelli della donna. Il giovane appare in sogno ad Isabetta e le indica dove è sepolto. Lei lo dissotterra, ne prende la testa e la pone in un vaso ricoprendola poi di terra nella quale fa crescere del basilico. Sul vaso Isabetta piange per molto tempo. I fratelli però scoprono tutto e sottraggono il vaso alla povera donna che ne muore.
L’ elemento comune con la signura Leta è la spietata crudeltà dei fratelli della giovane innamorata. Questi spietati moralisti si preoccupano soltanto dell’infamia provocata dalla sorella, pensano che è obbligatorio vendicarsi per non macchiare la propria reputazione di vergogna e perciò non esitano ad uccidere sia il giovane amante e, indirettamente, anche la giovane sorella, incuranti dei suoi sentimenti e di quella che poteva essere la sua felicità.
La disperazione e il terrore della Signura Leta, come della giovane Isabetta, non si manifesta soltanto nella sua essenza ultraterrena ma risiede nel fatto che la disperazione per l’amore mancato e il crudele distacco dall’amato e dalla felicità sono stati troppo grandi da sopportare. Tutto questo è rappresentato dal fatto che il fantasma è muto e mostruoso nelle sue apparizioni e la sua angosciante presenza nella memoria collettiva testimonia della perpetua condanna di una donna alla quale è stata recisa tragicamente una vita felice. La collettività manifestava ansia e paura di fronte allo spirito mostruoso e disperato della Signora Leta perché temevano che lei potesse vendicarsi del male subito. Sappiamo che le superstizioni sono insopprimibili perché sono delle valvole di sfogo, dei meccanismi di difesa di singoli e di gruppi per giustificare ed esorcizzare le paure, i fallimenti, le incertezze e tacitare, talvolta, le voci che tormentano la nostra coscienza.
// CURIOSITA’
Pensate che da questa leggenda popolare, nel 2005, è stato realizzato Bianco Scarlatto, un film diretto dai fratelli Vittorio e Gabriele Magrì, due aspiranti registi mesagnesi. Nel cast è presente anche il bravissimo Franco Nero. Anche se, in tutta onestà, non ci sentiamo di consigliarvelo, ve lo proponiamo di seguito