di Valentina Isernia
Negli ultimi anni sono molte le polemiche che si susseguono sulla celebrazione della festa dei morti. Alcune delle tradizioni di altri paesi sono state accolte anche in Italia e ciò ha portato a temere che potessero oscurare quella cattolica in nome di un fenomeno commerciale che in realtà altro non è che la diversa declinazione popolare della stessa usanza in altre culture.
Poco si pensa al fatto che la conoscenza di più sfaccettature di uno stesso fenomeno possa essere arricchimento culturale oltre che economico: una veduta più ampia del mondo aiuta ad abbracciarne una più vasta della vita, aiutando i giovani ad un approccio diverso da quello dell’estremismo conservatore che aiuta, sì, a mantenere salde le proprie origini ma è anche limitante in una società ormai divenuta cosmopolita, senza frontiere.
Senza dimenticare, poi, che molte ricorrenze sono da sempre il frutto di ibridazioni con altre, in un passato in cui il proprio piccolo mondo era impensabile si mescolasse con quelli oltre confine. Si pensi al Natale ed ai suoi simboli, alla Pasqua, al Capodanno. Questo non ha snaturato l’importanza della ricorrenza, l’ha solo arricchita di nuovi significati; tanto da portare l’Organizzazione delle Nazioni Unite (Unesco) a rincorrere i propri obiettivi per l’educazione, la scienza e la cultura, a non limitare il termine “patrimonio culturale” semplicemente ai monumenti ma a includere anche espressioni viventi di tradizioni culturali tramandate attraverso le generazioni (si pensi alla nostra pizza!).
Oggi, proviamo a conoscere una di queste celebrazioni – forse la più variopinta e gioiosa – e capire come non sia così lontana, nel significato e nei simboli, dalla tradizione italiana.
Los Día de los Muertos
Abbiamo imparato a conoscere questa straordinaria tradizione grazie al film Disney Coco; nasce in Messico e si estende nel tempo in tutta l’America Latina. Si basa sulla preparazione al ritorno degli spiriti dei membri della propria famiglia si tiene in genere tra il 28 ottobre e il 2 novembre, differenziando le commemorazioni in base al tipo di morte ed all’età: il 28 ottobre alcune comunità celebrano i morti per incidente e suicidio, apponendo di fiori e candele sul luogo dove la morte è avvenuta esclusivamente per un giorno, il 2 novembre. Le celebrazioni durano due giorni in un’esplosione di colori, musica, fiori e danze.
Proprio come spiegato prima, però, anche questa è una festa che nasce da un’ibridazione con altre culture: ha origini antiche, che spaziano nella Mesoamerica con gli Aztechi, i Toltechi che consideravano il lutto – inteso come evento triste e avverso – irrispettoso per i defunti che dovevano continuare ad essere parte della comunità attraverso la memoria dei vivi. Non è forse ciò che fa l’usanza cattolica con l’offerta di fiori alle tombe dei propri cari?
I simboli de los Día de los Muertos
// L’altare
Il fulcro della celebrazione è l’ofrenda, un altare che viene allestito nelle case nei cimiteri e nelle piazze.
Non si tratta di altari per come li conosciamo noi, dunque dedicati all’adorazione, ma rappresentano la porta tra la vita e la morte: un varco per accogliere gli spiriti nel regno dei vivi con offerte, acqua per dissetarsi dopo il lungo viaggio, cibo, foto di famiglia e una candela per ogni parente morto.
Ogni elemento delle decorazioni tradizionali ha un significato preciso e molto suggestivo:
– il papado picado, strati di carta traforati o ritagliati a forma di scheletro, rappresenta il vento, la fragilità della vita ma anche la sua dualità imprescindibile dalla morte. Per questo è fatto di due colori – generalmente giallo e viola. I semi rappresentano la Terra, le candele il fuoco.
Il fumo dell’incenso, poi, trasmette le preghiere e purifica l’aria attorno all’altare;
– teschi di zucchero, con il nome della persona inscritto nella parte superiore;
– il pan de Muertos, un pane speciale che è fatto appositamente per la stagione;
le cempasuchil ovvero le più conosciute calendule, fiore di stagione (come noi, da tradizione, usiamo i crisantemi). In alcuni villaggi, i petali di calendula vengono disposti al fine di creare un
sentiero dal luogo di sepoltura all’altare in modo che le anime non si smarriscano verso la strada di casa.
E’ tradizione anche trascorrere l’intera notte nel cimitero un momento di festa in cui si cena, si suona, si parla e si beve.
// I calaveras
Ovvero: il teschio, che nella cultura messicana ha un significato molto profondo.
I calaveras ricordano di celebrare la vita e la naturale mortalità, di guardare al passato, al futuro, rimanendo nel presente.
Il concetto di base è sempre che la morte è parte della vita e che come tale non deve essere temuto ma festeggiato. I calaveras ricordano di vivere di affrontare la mortalità con un sorriso, con il coraggio e di credere nell’immortalità.
Questo simbolo ricorre in svariati modi, soprattutto sotto forma di dolciumi ma anche attraverso le parole: così viene denominato un poema umoristico popolare che gioca su politici viventi o deceduti, su personaggi famosi o sulle persone care mentre ci si prende gioco della morte.
// La Calavera Catrina
La prima apparizione della Signora della Morte, risale alla Dea Azteca Mictecacihuatl, regina degli Inferi e protrettrice delle ossa dei morti.
Si ripresenta poi nella cultura messicana grazie al vignettista José Guadalupe Posada, “La Calavera Catrina”, creata intorno al 1910-1913 e
che originariamente era conosciuta come “La Calavera Garbancera”, creata come immagine satirica: l’artista puntava a deridere i messicani indigeni che cercavano di emulare la raffinatezza dello stile europeo.
“Todos somos calaveras”,
“siamo tutti scheletri”
Che non è molto lontano dalla celebre citazione “Ricordati che sei cenere e cenere ritornerai”, la formula tradizionalmente pronunciata dal sacerdote mentre pone la cenere sul capo dei fedeli, all’inizio della Quaresima.
Grazie a internet, abbiamo straordinarie testimonianze fotografiche della simbologia di questa tradizione, i cui abiti e trucco sono diventati uno dei soggetti più belli per i professionisti del settore. Ve li proponiamo in una gallery in coda all’articolo. Ricordatevi sempre: evviva i luminosi colori della diversità!
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