di Ludovico De Bonis e Giulietta Frattini
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“Per capire il mondo che ci sta attorno e valutarlo, bisogna saperlo guardare con gli occhi di un bambino e saper riconoscere ciò che è frutto delle favole e ciò che invece è reale”.
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Eddie Kitsis e Adam Horowitz, creatori e produttori esecutivi di questa serie televisiva, si posero questa domanda: come si inizia da una storia di favole e come arriva, poi, nel mondo reale?
Gli autori avevano in mente di creare Once Upon a Time già nel 2002 ma, ritenuta al tempo troppo fantasiosa, nessun network ne avviò la produzione. Fu solo nel 2010, in contemporanea alla realizzazione dell’innovativa prima stagione di Lost, che decisero di sviluppare la storia di Once Upon a Time, facendo in modo che i personaggi e le loro personalità prevalessero sulla mitologia.
“Bisognava – affermava Kitsis – fare in modo di scorgere il più possibile il cuore e l’animo dei personaggi, piuttosto che concentrarsi sul contesto che ruota attorno alla maledizione”.
Nonostante i numerosi riferimenti a Lost, (il numero 108 presente sulla porta della casa di Regina, è la somma dei famosi numeri: 4 + 8 + 15 + 16 + 23 + 42 = 108; 108 minuti è la durata del conto alla rovescia del timer del Cigno, al cui scadere bisogna immettere i numeri nel computer. Oppure il continuo passaggio tra i due livelli di narrazione attraverso i relativi flashback), gli autori volevano rendere le due serie molto diverse: l’una rappresentava la redenzione, mentre Once Upon a Time rappresentava la speranza del lieto fine, il leitmotiv di tutta la serie. Riguarda soprattutto i cattivi per eccellenza che, nei classici Disney, non hanno avuto la possibilità di riscattarsi o redimersi.
Nel 2011, anno decisivo per Once Upon a Time, la lavorazione della serie arriva ad un punto fondamentale per il suo futuro sviluppo: un accordo con Disney permise l’uso dei “suoi” personaggi fiabeschi. Per creare un distacco con la fiaba già conosciuta dal pubblico, gli autori decisero di far coincidere l’inizio del pilot con il momento finale della fiaba di Biancaneve, che viene svegliata dal bacio del principe. Il loro intento era di lavorare su un nuovo lieto fine, rendendo veri i loro personaggi e facendo in modo che raccontassero loro la propria storia.
Già nell’episodio pilota si configura chiara l’idea di usare flashback per mettere in evidenza i punti in comune tra il mondo reale e quello delle favole, per poter chiarire gli interrogativi presenti nella serie e creare una sorta di unione tra due linee temporali differenti: il presente dove i personaggi sono intrappolati nella città di Storybrooke, per via di un incantesimo lanciato da Regina e il passato, in cui gli stessi protagonisti vivono, con la propria vera identità, nel mondo della fantasia.
La grande innovazione di Once Upon a Time è rappresentata, dalla figura salvifica di Emma, figlia del Principe Azzurro e Biancaneve, la quale inizialmente si mostrerà incredula sulle sue origini magiche. Emma, prima di assumere il suo ruolo, dovrà fare i conti con il suo passato difficile e anche con l’accettazione della sua nuova identità. Per saperne di più su questo personaggio, mai esistito nel mondo Disney e creato ex novo per questa serie, non perdetevi il prossimo approfondimento.
Once Upon a Time nulla è certo, ci sono continuamente cambiamenti e colpi scena che portano il pubblico, soprattutto quello appassionato al genere fantasy, ad immedesimarsi nel loro personaggio preferito. Chi si aspetta di vedere solo una Biancaneve ingenua e sognatrice, così come ci ha abituato il classico di animazione, dovrà senz’altro ricredersi. Chi poteva mai immaginare che la matrigna e rivale di Biancaneve fosse diventata cattiva non per l’invidia ma per un amore distrutto da quest’ultima? Queste evoluzioni di trama molto importanti all’interno delle fiabe portano il pubblico ad immedesimarsi in questi personaggi come se fossero reali, sospendendo quasi la percezione dell’incredibile.
Gli autori non miravano solo alla spettacolarità dell’opera ma volevano portare anche alla riflessione, ponendo velatamente diverse domande allo spettatore: i personaggi sono davvero ciò che sembrano? La regina è veramente cattiva?
Questa nuova prospettiva e lo spasmodico desiderio di dare una seconda possibilità ai cattivi (o pseudo tali), potrebbe convincere i telespettatori a schierarsi con i malvagi, sconfitti per antonomasia.
Tutto viene quindi capovolto, ogni ordine e ogni situazione originaria, e si crea una sorta di suspense che porta il telespettatore a restare incollato allo schermo fino alla fine di ogni episodio.
Harowitz e Kitsis creando Once Upon a Time avevano un grande progetto: dimostrare che le fiabe non sono solo fiabe, ma possono diventare una chiave per interpretare il mondo che ci sta attorno e, a volte, ci travolge. Per questo, i migliori maestri di vita sono proprio i bambini, perché credono in cose semplici come le fiabe e vivono la loro età con speranza: da questo deriva l’enorme successo della serie tv, capace di coinvolgere il pubblico di ogni età e farlo emozionare.